la memoria è un ponte verso la libertà

Tu e loro

Nell’estate del 2005 ero da sola: i figli erano via per conto loro. Io e te ci eravamo incontrati un paio di volte a Parma e Piacenza. Ci scrivevamo e inviavamo fotografie delle rispettive case.

Posso raggiungerti?

Se vuoi… io sono sola.

Il giorno successivo avevi già acquistato il biglietto del treno. Arrivasti a Torino verso le 22 e l’unica pizzeria che trovammo aperta fu “La Regina di Quadri”, a pochi chilometri da casa mia. Col tempo diventò la nostra pizzeria.

Ti lasciai la mia camera da letto.

E tu dove dormi?

Non so neanch’io perché risposi: – Nella stanza di mio figlio… o se vuoi qui al tuo fianco.

Avevi il viaggio di ritorno prenotato per 7 giorni dopo. Ti accompagnai alla stazione di Porta Nuova. Arrivati davanti al tabellone degli orari di partenza, tu ti voltasti al contrario: – Torno a casa con te.

Penso che fu quello il momento in cui mi innamorai di te. Anche se a lungo prosegui a negarmelo.

Una notte iniziai a stare male, la pressione mi si alzò oltre i 200. Avevo un forte dolore alla bocca dello stomaco, tachicardia. Tu proseguivi a chiedermi se dovevi chiamare l’ambulanza. Io non volevo. D’altronde tu non conoscevi nulla di quì e non avresti potuto accompagnarmi all’ospedale… per poi cosa fare? Così la mattina telefonai a mio padre per chiedergli se veniva ad accompagnarmi all’ospedale.

I miei genitori non sapevano che io frequentavo un uomo, gli dissi che ero con un amico. All’ospedale mi trattennero diverse ore per accertamenti, prima scongiurando un infarto, poi un’emoraggia interna e infine scoprirono l’ernia iatale. Io proseguivo a pensare a te e mio padre nella sala d’attesa, senza che ci fossi io a mediare. Così diversi. Così sconosciuti. La profonda fede nel cattolicesimo di mio padre non poteva prevedere un altro uomo accanto alla figlia, dopo la separazione dall’ex-marito da nemmeno due mesi. Tanto più fra di noi c’era una grande differenza d’età. Ero più preoccupata da cosa accadesse in quella sala d’attesa che non dalla mia salute.

Rifiutai assolutamente il ricovero e ne uscii con la prescrizione di una sfilza di esami.

Mio padre ci invitò a pranzo a casa loro. In realtà era già metà pomeriggio. Notai che il clima fra di voi era più che sereno e complice sulla preoccupazione della mia salute.
Mia madre ti accolse con: – Buongiorno sig. Fiore – e questo fu il saluto che ti avrebbe sempre rivolto fino alla sua morte, tre anni dopo.

Alla sera, tornati a casa mia, ti chiesi com’era andata e tu mi raccontasti che mio padre era una persona molto piacevole, disponibile, colto, curioso, interessante… avevate parlato di molti argomenti.

In futuro avresti ripetuto diverse volte, raccontando ad amici e conoscenti, la disponibilità assoluta con cui mio padre e mia madre ti avevano accolto.

La stima reciproca nacque fin da quel primo incontro e durò per sempre.

Due anni dopo, l’estate del 2007, prima di partire per Napoli, dedicammo diverso tempo ai miei genitori, accompagnandoli in varie gite. Mia madre, terrorizzata dai tragitti in auto fuori città, si fidava ciecamente della tua guida. Gli davi sicurezza. Con lei a fianco ti trasformavi: evitavi qualsiasi buca, frenata brusca, tenevi una velocità moderata, ti spostavi da una corsia all’altra con una prudenza e calma assoluta.
Mi piace la guida del sig. Fiore, perché lui è molto prudente. – Io ridevo pensando che fin dalla prima volta che ti avevo seguito in auto, ti avevo detto: – Guarda che le frecce non sono solo cose per indiani.

Quell’estate li portammo sul Lago di Garda, a Stresa… seguendo i ritmi di mia madre che fuori casa si sentiva sempre un po’ a disagio e aveva qualche difficoltà nel camminare a causa delle sue vene varicose. Seduti su quella panchina, mia madre guardava incantata le nuvole rincorrersi nel cielo. Ancora non sapevo che quella fotografia, l’avrei utilizzata, solo 6 mesi dopo, per la sua lapide in quanto quella fu la sua ultima estate.

Non avrebbe mai visto San Marino, nonostante tu fosti riuscito a convincerla ad un viaggio così lungo (lei che in auto non aveva mai viaggiato fuori dal Piemonte), rassicurandola che avremmo affrontato tutto prendendoci il giusto tempo e lei e mio padre avrebbero avuto la nostra camera da letto.

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