la memoria è un ponte verso la libertà

La mia Casa

Sono due le case che posso definire mia casa: quella in cui sono nata e quella in cui vivo. Poi c’è la casa dei miei genitori che non dimenticherò mai. Andiamo con ordine…

Quando sono nata la mia famiglia abitava in via Fidia 26, piano rialzato. È la mia casa da prima ancora che nascessi.
La progettò ed iniziò a costruire mio bisnonno Enrico. Dopo la sua morte, terminò di costruirla nonno Sandro. Papà, figlio unico, quando si sposò rimase a vivere con i suoi genitori. Nella cantina un grande tavolo di legno ha visto la costruzione di mille progetti di nonno. In attesa della mia nascita, nonno Sandro ampliò lo spazio e pensò ad una stanza tutta per me. Non per la nascita dei miei due fratelli, ma per la mia; desiderava da sempre una bimba ed era convinto fosse la volta buona. Se mio nonno fosse vissuto più a lungo, sarebbe certamente stato un mio grande alleato.

Riuscì solo a sapere, il 31 luglio, dieci giorni prima di morire, che il progetto era stato approvato dal comune. Fu papà a completarlo. Al piano di sopra abitavano la zia e i cugini. Per tanti anni è stata un’unica grande casa con le porte sempre aperte; noi bambini salivamo e scendevamo le scale come fosse spostarsi da una stanza all’altra dello stesso appartamento. Mia nonna materna era spesso da noi, così come zio Carlo e zia Teresa, zia Bianca, Mariangela… Il cortile era il nostro campo di gioco. Una volta all’anno i grandi imbottigliavano il vino in cantina: era una bellissima ricorrenza familiare che durava diversi giorni e, per noi bambini, una grande festa. 

Quando avevo 7 anni papà acquistò un appartamento più grande in corso Brunelleschi 36, a pochi passi, e nonna Lina si trasferì anch’essa con noi. L’appartamento al 2° piano aveva due lunghi balconi che univano tutte le stanze; io e i miei fratelli impiegammo un po’ di tempo per comprendere non fosse un gigantesco labirinto di giochi.

L’alloggio di via Fidia per qualche anno fu affittato, ma rimase sempre casa nostra: avevamo mantenuto due autorimesse, dove posteggiavamo biciclette, ciclomotori ed automobile; una grande cantina.

A distanza di qualche anno i miei cugini acquistarono anch’essi un appartamento nello stesso palazzo di corso Brunelleschi; con mio padre erano cresciuti come fratelli e fin da bambini avevano abitato insieme.

Nella nuova casa io condividevo la stanza con mia nonna: una tenda a soffietto fungeva come divisore degli spazi ma noi preferivamo tenerla aperta. In quegli anni si creò una forte complicità fra noi due; nonna mi faceva partecipe dei suoi ricordi e nei suoi racconti nonno Sandro era talmente vivo che ancora oggi sento di aver vissuto con lui. Lei morì quando io avevo 13 anni.

In corso Brunelleschi mamma si sentì finalmente a casa sua: l’avevano scelta con papà, arredata a loro somiglianza. Fondamentalmente non era cambiato nulla, aldilà dello spazio: mia nonna abitava ancora con noi e il loro rapporto era sempre stato sereno. Ma la nuova casa l’avevano costruita loro e non era più la casa dei suoi suoceri. Corso Brunelleschi sarebbe sempre rimasta la casa dei miei genitori; papà, anche dopo la morte di mamma, non ha mai voluto trasferirsi, nonostante fosse enorme per un uomo solo.

Abitai al nuovo indirizzo per 12 anni, poi, dopo un breve passaggio da un bilocale in via Cardinal Massaia 135, tornai a vivere in via Fidia con mio marito, il primo figlio e la seconda in arrivo. Sopra di noi, viveva la famiglia di mia cugina; con le nuove generazioni tornò ad essere la casa della famiglia Alberti.

Nell’estate del 1996, a 33 anni, mi trasferii nell’attuale casa a Rivarossa, molto più spaziosa, con un grande terrazzo e mansarda collegata. L’ho scelta e modificata nel corso degli anni con i colori che più mi somigliano. Fin dalle prime notti ho girovagato le stanze al buio, per riconoscerne spigoli e spazi a luci spente: un’abitudine che ho fin da bambina, mamma diceva che sono un gatto. 

L’appartamento di via Fidia diventò il mio studio grafico e così, in un modo o in un altro, lo vivo da quando sono nata. L’ho ereditato in seguito alla morte di mio papà, nell’aprile del 2019. 

A gennaio 2020 ho iniziato i lavori di ristrutturazione: sostituito i pavimenti, controsoffitto con nuova illuminazione, rifatto bagno e cucina, entrata leaving, apertura di comunicazione fra le due stanze, restaurazione infissi interni, decorazione, trasformazione in librerie delle nicchie interne nelle stanze. Il 14 marzo 2022 ho inaugurato il Centro Culturale “Il Cielo Capovolto”.

L’alloggio di corso Brunelleschi lo abbiamo venduto nel luglio 2021. In quei due anni l’ho svuotato pezzo dopo pezzo. Con me Fiore.

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