In questa oscurità in cui galleggio, io ancora ti vedo seduto su quella seggiola a raccontare.
Mi alzo da questo letto per avvicinarmi e finalmente poterti abbracciare. Le mie braccia stringono il vuoto ed attraversano la tua figura.
Avverto il tuo tocco sulla mia spalla ricondurmi a coricarmi.

C’è una realtà dell’anima assai più profonda della realtà virtuale che penetra questo schermo. Come ho fatto tante volte che sei stato sdraiato al mio fianco, torno col dito a disegnare il tuo viso: l’arco delle sopracciglia, il contorno degli occhi, dal profilo del naso scendo fino alle labbra. Labbro inferiore e superiore. Poi traccio il profilo del tuo volto e mi soffermo sui lobi delle orecchie.

Un uomo è molto più di un corpo… ed un corpo senza vita è solo materia. Eppure non dovrebbe deteriorarsi un corpo che hai amato. Dovrebbe conservarsi e permetterti di prendertene cura. Io proseguirei a tagliare i tuoi capelli quando crescono, ed anche i peli nelle orecchie. Accarezzerei le tue guancie e le mani, che non si aridiscano. Spazzolerei la tua giacca e proseguirei a infilare nel taschino messaggi, così come quello che ho lasciato prima che ti chiudessero; che ti restasse sul cuore. Si deteriorerà e si mischierà insieme ai tuoi resti.

Non ho il tuo corpo da carezzare e allora carezzo la tua fotografia e bacio le tue labbra.

È lontana persino la tua lapide per potermene prendere cura. Con Stefano un giorno abbiamo interrato due piante di roselline, rosse e bianche, nella tua terra. Tornerò a innestare un piccolo pino che cresca nutrito di te. Lo avevamo fatto insieme tanti anni fa da mia mamma, uno alla destra ed uno a sinistra. Anno dopo anno erano diventati due alberi che puntavano al cielo; insieme li potavamo e inaffiavamo. Spolveramo la lapide e pulivamo la fotografia. Da mio padre non abbiamo fatto in tempo a piantare i pini, avremmo dovuto farlo nei prossimi mesi… lo farò io da sola, e tu sarai con me.