la memoria è un ponte verso la libertà

Quattro mesi

Quattro mesi che non possiamo più darci la mano. Io ti sento vicino e so che tu sei molto più di un corpo. Eppure quando penso a quel corpo che non si risveglierà più, che man mano tornerà terra, sento un grandissimo dolore.

Amo quel corpo oltre alla tua anima. Quel corpo con cui ho fatto l’amore. Quelle mani che ho intrecciato, che mi hanno carezzato. Amo quella testa calva sulla quale da alcuni anni c’era una cicatrice, ricordo di una brutta botta contro lo sportellone del bagagliaio dell’auto. Quei pochi capelli bianchi che regolarmente rasavo e, scherzando, chiamavo peluria. Le sopracciglia da cui volevi regolarmente estirpassi i peli bianchi. I tuoi occhi, Fiore. Quegli occhi in fondo ai quali ho intravisto una dolcezza infinita fin dal nostro primo incontro. Quegli occhi che erano in grado di vedermi fin nel più profondo io, con un amore unico. Nei quali ogni sera e mattina mettevo le gocce.

Amo il tuo torace su cui poggiavo la mia testa e persino il rigonfiamento del defibrillatore che si avvertiva sotto cute, in quanto sapevo che ti proteggeva.
Amo le tue bracce pelose che mi abbracciavano e che erano il mio unico rifugio ove sentirmi al sicuro da tutto. E ti ho sempre detto che a me non piacevano affatto gli uomini che si rasano, come tanti usano oggi. Io passavo le dita fra i tuoi peli sul petto e sulle braccia e giocavo a intrecciarli.
Mi manca persino il tagliarti le unghie dei piedi e il grattarti la schiena.

Amo la tua voce, così calda e profonda, che si è spenta prima del resto a causa della tracheotomia che per l’ultima operazione hai dovuto subire. Ne ridevamo i giorni precedenti: – Potrò dirti tutto ciò che voglio, intanto tu non potrai rispondere! – E invece, poi, comunicavamo a gesti ed io capivo poco. Ti dicevo che avremmo imparato il linguaggio dei segni quando non ce ne sarebbe più stato bisogno perché avresti ripreso a parlare. Scrivevi su quei fogli bianchi che io ti reggevo e sui quali l’ultimo giorno hai scritto: – Non ce la faccio. Dopo 8 operazioni fu l’unica volta.
La tua voce è registrata nelle trasmissioni radiofoniche che hai curato e in qualche video familiare. Io ogni sera mi addormento ascoltandola. E cerco le risposte alle domande che non finirò mai di farti.

Non è giusto che il tuo corpo debba decomporsi. Io quel corpo lo amo.

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