la memoria è un ponte verso la libertà

Parole, soltanto parole

Un giorno – il 5 giugno del 2014 – ti lessi queste righe che avevo scritto da pochi giorni.

Un giorno non parlerò più. Mi ci sto abituando un po’ alla volta al silenzio. Da tempo il tono è divenuto più lieve e le parole si fermano in gola.
Parliamo tutti troppo, c’è un grande inquinamento acustico. Ci sono molte più voci che parlano di quante orecchie ascoltano. Anch’io ho parlato molto, molto più di quanto sia stata ascoltata.
Il silenzio amplifica i battiti del cuore: non siamo più abituati a sentirli. A volte ci fanno quasi paura. Paura della vita, paura del respiro della terra, della voce del mare. Il silenzio amplifica la voce di Dio. Non siamo più abituati a sentirlo.
Parole, parole, migliaia di parole ripetute ogni giorno, parole di cui non ci chiediamo neppure più il significato. Servono solo per coprire, per riempire.
Un giorno ho svuotato la mia vita dalle parole di rabbia, ciniche, atonali, superflue e ho ascoltato l’armonia del silenzio. Da allora parlo molto meno e vivo di più.
Un giorno non parlerò più. Tu quel giorno leggi il mio sguardo e ascolta il mio respiro. L’ultimo. Sarà per te.

Sai, Fiore, quel giorno è arrivato. Non parlo più. Non si parla quando non c’è alcuno ad ascoltarti. Quando ti ritrovi solo in una casa – o per strada, che differenza fa? – a trascorrere le ore aspettando che il giorno si faccia notte e poi di nuovo mattino. Ma nemmeno vivo.

E tu, puoi ancora leggere il mio sguardo e ascoltare il mio respiro?

Ne ho avuto il terrore tutta la vita di questo momento in cui ritrovarmi sola. Ne avevo già paura da bambina. Per scongiurarlo ho corso, ho sempre corso e rincorso il tempo. Ho sbagliato tante di quelle strade in cui mi sono ritrovata sempre più sola.

Poi un giorno ero talmente stanca di correre che mi sono fermata. Quel giorno sei arrivato tu.

Trascorro le giornate a cercare “noi”, tra fotografie, oggetti, fogli di carta, vestiti, odori. Mi drogo di ricordi per paura che possano svanire. Oggi ho viaggiato fra le nostre prime lettere. E fa così male.
Lascia stare. Perché vuoi sempre ricordare? – ti sentivo ripetermi.
Tu mi avresti chiuso il computer, preso per mano e fatto alzare. Mi avresti chiamato con la scusa che in televisione trasmettevano una canzone che volevi farmi ascoltare o mostravano un luogo dove eravamo stati. Mi avresti detto che era pronta la cena. O chiamato per fare l’amore.
Ma tu non ci sei. E conosci quanto sono testarda nel tuffarmi nel baratro per la paura di non saperlo scavalcare.

Ti ho tenuto la mano fino al tuo ultimo respiro. Ma chi ci sarà a tenere la mia?

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