la memoria è un ponte verso la libertà

L’ultimo pasto

È trascorso un mese da quel giorno che sei tornato in reparto dopo l’operazione e un giorno in rianimazione. Quanta felicità quel giorno! Anche questa l’avevamo superata. Ci sarebbe stato un periodo lungo per la ripresa, anche complicato – per mesi avresti dovuto mangiare solo cibi frullati – ma eravamo pronti ad affrontarlo.
Dopo mesi di paure e incertezze, dopo quel 3 luglio di 10-11 ore tu in sala operatoria, ed io dietro quella porta a camminare su e giù in quei pochi metri di corridoio ad immaginare il peggio, a domandare ad ogni medico o infermiera che uscisse…

– Suo marito è del maxillo-facciale? Mi dispiace io sono di otorinolaringoiatria, non so nulla.

Alle 14:30 mi dissero: – Abbiamo tolto tutto, adesso inizia la ricostruzione. Procede tutto bene.

Alle 15:30: – Guardi che non si tratta di un’ora o due. Ci vorranno ore e ore, potrebbe andare avanti fino alle 21:00. Vada a casa e non torni prima delle 19:30.

Poi alle 19:00 la telefonata: – Lo stiamo richiudendo. Tutto bene. Dopo lo porteremo in Rianimazione.
– Posso vederlo?
– Sì, ma guardi che dormirà.
– Lo so, ma voglio vederlo.

Dormivi in Rianimazione, in una piccola stanza con solo un altro letto accanto al tuo. Il medico mi disse: – Questa notte lo lasciamo dormire, intanto arrivano gli esiti di tutti gli esami che stiamo facendo. Sta procedendo tutto bene, se prosegue così domani sarà sveglio.
– Ma avevate detto che lo tenevate addormentato due giorni.
– Non c’è motivo. Procede tutto bene. Ci lasci il suo numero di telefono. Se non accade nulla domani alle 13:00 le telefoniamo per darle notizie e dopo le 15:00 potrà venire a trovarlo.

La notte non ho dormito, guardavo il cellulare pregando che non suonasse.
Alle 13:00 nessuno chiamò. Prima delle 15:00 ero dietro la porta della Rianimazione. SI scusarono per non aver chiamato. Mi dissero che eri sveglio, andava tutto bene.

Tu eri sveglio. Un po’ confuso ma sveglio. Guardavi l’orologio di fronte a te e a segni mi chiedevi se era giusto. Mi chiedevi se era il 3, il 4 o il 5. Ti eri addormentato in quella sala operatoria sapendo che avresti dormito per due giorni… io ti ripetevo che avevi invece dormito solo una notte. Era il 4 e tutto procedeva bene. Tu mi accarezzavi il viso, quasi ad accertarti di essere sveglio, che tutto fosse reale e non un sogno. Non avevi dolore. Finalmente.
La sera prima dell’operazione, salutandoti ti avevo detto: – Forse quando ti sveglierai sarai confuso, forse non ricorderai nemmeno dove ti trovi e per quale motivo. Cerca di memorizzare ora e ricordare che sei in un sala operatoria per aver superato l’operazione. Cerca soprattutto di ricordare che se non mi vedrai accanto al tuo letto, vuol dire che sarò dietro la porta perché non posso ancora venire da te, ma terrò tutto sotto controllo. Mi occuperò di te. Ci sarò sempre.

– Tu, come stai? – Continuavi a chiedermi. – Ho avuto tanta paura, ma ora sto bene, perché tu sei qui. L’abbiamo superata.

La mattina seguente – il 5 luglio, un mese ad oggi – mi chiamarono dall’ospedale alle 9:30: – Lo stiamo portando in reparto. Può venire all’orario di visita.
Un mese addietro. Che felicità quel giorno! Ce l’avevamo fatta.

Non sapevamo che invece sarebbero stati i tuoi ultimi giorni. Un’illusione dopo mesi tormentati, tradita dal peggio solo pochi giorni dopo. Ti saresti ripreso nei giorni seguenti, ogni giorno stavi sempre meglio e non ti lamentavi di nulla. Facevi progetti. Comunicavi solo a gesti o scrivendo: non potevi parlare perché avevi la tracheotomia. Te l’avrebbero tolta il lunedì successivo, quel lunedì che invece tu già non ceri più. Ti avevo portato un portablocco rigido con tanti fogli. Tra gesti e poche parole scritte, una mattina mi dicesti che tutta la notte avevi pensato a cosa cucinare una volta tornato a casa, per te frullato e per me no. Ridemmo. Quale poteva essere il tuo pensiero se nonché per il cibo?

– Dopo, quando posso parlare, ti racconto tutto. L’operazione è iniziata molto più tardi perché aspettavano i cardiologi.

– Sì, amore, abbiamo tempo. Dopo mi racconterai tutto.

No, non avevamo tempo. Non avremmo avuto tempo. Il nostro tempo era agli sgoccioli. Dopo aver superato un’operazione complicatissima… in un ospedale in cui i soggetti fragili dovrebbero essere super protetti, tutto dovrebbe essere assolutamente asettico… dove ad ogni mia visita ti disinfettavo mani, braccia, gambe, faccia; disinfettavo tutto ciò che toccavi: sponde del letto, comodino… saresti stato infettato da un batterio che in 12 ore ti avrebbe portato via per setticemia.

Nella fotografia il tuo ultimo pranzo. Domenica 2 luglio, il giorno prima dell’operazione. Tutto frullato. Negli ultimi giorni prima dell’operazione riuscivi sempre meno ad aprire la bocca. Non ti lamentasti neppure del cibo, strano per te che ogni volta che sei stato in ospedale ti rifiutavi di mangiare. I medici solitamente mi dicevano: – Signora, non potrebbe fermarsi qui con lui tutto il giorno. Magari le porti lei qualcosa da casa. Non mangia nulla, così non va bene. Quando c’è lei è più tranquillo.
– Di solito mi dicono di tenerti a dieta e quando sei in ospedale devo invece spronarti a mangiare?
– Io queste schifezze non le mangio.

Invece quel 2 luglio dicesti persino che non era male. Sapevi che avresti dovuto aver pazienza a lungo e ti eri messo nell’ottica di superare tutto con ottimismo.

Alla cena io non ero presente. Ero dietro la porta del reparto, non ci hanno fatto entrare che dopo. Ma per messaggio mi hai scritto: – Ho mangiato tutto anche stasera.

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