Mi volto verso il comodino, gesto a cui devo disabituarmi. Quasi sempre ero io a svegliarmi per prima e ti guardavo dormire.
– Buongiorno – la nostra prima parola; un bacio. Non c’è giorno, che mi ricordi, che l’abbiamo dimenticata.
Poi tu ti alzavi e andavi in bagno, in cucina. Io m’attardavo sul letto, lusso che non m’ero mai potuta concedere prima. E tu mi portavi a letto la colazione.
Sei diventato un esperto del capuccino montato e, d’estate, shakerato freddo. A volte uscivi presto, qui o a San Marino, per andare a prendere le brioche fresche.
– Lo sai che non dobbiamo mangiarle!
– E va beh, per una volta… – era sempre “per una volta” quando si parlava di cucina con te.
Persino le brioche le tagliavamo in due e, metà a me metà a te, anche se erano due.
Normalmente erano due fette biscottate che ricoprivi con la marmellata… la cura che ci mettevi nello stendere quel velo di marmellata.
– Che fretta c’è? Resta ancora un po’ a riposarti – ti dicevo.
– Prima ti porto la colazione e poi mi riposo.
Poi ti mettevo le gocce negli occhi.
Non sono state mai mie richieste, io abituata da sempre a tutt’altro. I primi tempi non li capivo neppure questi gesti.
– Guarda che sono capace!
Mi hai insegnato che meritavo tutta una serie di attenzioni, che tutta la vita non avevo mai avuto da nessuno.
E tu lo hai capito, da subito, senza bisogno che te lo raccontassi.
Piccoli gesti quotidiani con i quali mi hai abbracciato per 18 anni.
E non sai quanta paura, oggi che mi manca!