la memoria è un ponte verso la libertà

4 ottobre

E così, amore mio, oggi è il tuo compleanno, Settantacinque anni dalla tua nascita.

Se il tuo corpo fosse qui, vicino a me, avrei trascorso la giornata a vegliarlo. Ti avrei portato fiori e mi sarei seduta sulla tua terra a parlarti. Purtroppo è stato portato lontano da me, da noi.

Se in qualche modo mi senti, so che starai dicendo: – Non importa, Maria. Quello sotto terra non sono più io, è solo un corpo che ho abitato. Io sono altro e so che tu mi sei vicino anche adesso.

È davvero così dopo? Ci importa così poco di quel corpo che abbiamo lasciato?
Tu, però, lo sai che da questa parte leghiamo a quel corpo la persona che amiamo e ci è così difficile scindere i due aspetti.

Sono raffreddata e ho anche un po’ di catarro e tosse. Non posso negarti che ad ogni acciacco mi ritrovo a pensare: forse arriverà l’ora di raggiungere Fiore. Quella sera, su quel letto d’ospedale, avrei voluto contagiarmi di te, di quel maledetto batterio che ti stava portando via.
So che tu non vorresti che io pensassi a ciò. So che mi diresti: – No, tu devi vivere.
Ma so anche che già prima leggevi nel mio pensiero. Figurati ora.

La scorsa notte mi sono svegliata sentendomi chiamare. Non ricordo cosa sognavo. Ho sentito qualcuno che mi chiamava: – Maria… – e ho avvertito il tocco di una mano sulla spalla…. e mi sono svegliata. Per qualche minuto non ho avuto la concezione di dove mi trovassi. Mi sono guardata intorno e… inutile dirlo… ti ho cercato.

Sei stato tu? Quando quella che noi ci ostiniamo a chiamare vita si interrompe, riusciamo veramente a stare accanto a chi abbiamo amato? E mandiamo loro messaggi?
Io, Fiore, non riesco ad avere la certezza che tu ci sia ancora in qualche dimensione. La mia fede, lo sai, barcolla fra i dubbi. Anche tu la pensavi così.
Quante volte abbiamo ripetuto: – Se ci sarà davvero qualcosa oltre quel limite, allora troveremo comunque il modo di restare insieme, di comunicare.
Cerco ogni minuto i tuoi segnali e, al contempo, temo siano solo sensazioni che la mia mente costruisce per proteggermi dall’incapacità di accettare la tua perdita.

Oggi ho chiesto a tua sorella di raccontarmi i ricordi che aveva della tua infanzia. Non ne ha molti; tu prima sei stato lontano da casa in collegio per studiare e poi sei partito presto per la vita militare. Avete sei anni di differenza d’età. Mi ha, però, raccontato che tu scrivevi testi di canzoni per il coro della chiesa, di cui lei faceva parte, che poi cantavano ragazze più grandi di lei. Le ho chiesto se ne ricordava qualcuna o se avesse qualche tuo testo scritto, ma purtroppo non ce ne sono. Qualcosa mi avevi accennato in merito… ma davvero poco. Mi raccontavi più spesso che ti sarebbe piaciuto, fin da ragazzino, imparare a suonare la chitarra ma non ne avevi mai avuto l’opportunità.
Ci accorgiamo sempre dopo di quante domande sono rimaste indietro. Pensiamo sempre di avere molto più tempo a disposizione e restiamo imbrogliati dall’iter inutile dei nostri giorni.
Abbiamo parlato tanto io e te… ma troppo poco. Vorrei conoscere ogni giorno della tua vita, ogni pensiero, ogni emozione dei tuoi anni.

Sai? Oggi sono state più persone a ricordarsi del tuo compleanno, a inviarti gli auguri. Ti sei fatto voler bene da chiunque ti abbia conosciuto. N. dice che tu sorriderai per questo. Sorrido anch’io, perché non sono solo io a tenerti qui con noi.
È un sorriso amaro, accompagnato dalla disperazione.

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