Avevo sette anni quando ci trasferimmo in un alloggio più ampio. C’era uno stanzino, nemmeno tanto piccolo, che fungeva da cabina armadio. I miei genitori chiusero l’apertura dalla camera da letto e spostarono l’accesso all’entrata. Costruirono ai tre lati lunghe mensole di legno (ai tempi si utilizzava il legno massello) da terra fino al soffitto. Lo spazio fu adibito a biblioteca familiare. Mia madre, proseguendo l’archivio inizialmente pensato da mio nonno, registrò manualmente tutte le pubblicazioni. Sul dorso di ogni libro attaccò un’etichetta con un numero e su un semplice quaderno annotò per ogni titolo: codice, autore, genere e posizione scaffale.
Quello stanzino sprigionava una sensazione magica e aveva il potere di attrarre fortemente la curiosità di noi bambini. Ho ricordi di pomeriggi interi, seduta per terra o su uno sbagello, rintanata in quel piccolo spazio con un libro come migliore amico.
Durante le vacanze estive, natalizie o nel corso delle pause dall’anno scolastico, fra i doveri stabiliti dai miei genitori per me e i miei fratelli, c’era un’ora al giorno di lettura e un’ora di ascolto musica classica.
Sì, lo so, oggi sembrerebbe una cosa assurda, si commenterebbe che l’avvicinamento alla cultura e all’arte non dev’essere un’imposizione. Ma negli anni ’60 tutto ciò era regolare e, sinceramente, sono grata di ciò, così come dell’ora di pianoforte, dieci minuti di ginnastica appena svegli (tutti i giorni dell’anno e non solo durante le vacanze) e persino del momento delle preghiere sia al mattino che alla sera. Credo anch’io che l’approccio all’arte, allo sport e alla spiritualità dovrebbe essere volontario ma, è pur vero, che una bambina non ne ha conoscenza per poter scegliere. Valuto oggi questi instradamenti come opportunità che mi sono state concesse: crescendo ho potuto compiere le mie scelte avendo un bagaglio di conoscenze di base.
Sui libri ho, abbiamo tutti quanti della mia generazione, imparato la grammatica e l’esposizione, la narrazione, l’ironia e la drammatizzazione; abbiamo aperto la nostra mente al senso critico, a differenti prospettive, all’immaginazione. Fra le pagine dei libri abbiamo sperimentato emozioni quali: la paura, l’attesa, la perseveranza, la viltà e l’odio, la fedeltà e l’amicizia ed anche l’amore.
Ormai da decenni crescono in modo esponenziale gli autori che pubblicano e, a specchio, diminuiscono i lettori. E allora mi domando: ai bambini e ai ragazzi come arriva tutto ciò? Quali strumenti hanno a disposizione per imparare e sperimentare tutto ciò? I social, wikipedia, l’intelligenza artificiale? Penso ci sia bisogno di rispolverare i nostri antichi strumenti, magari adattandoli al nuovo sentire.
Forse potremmo pubblicare più sovente estratti di romanzi e poesie (limitandone la lunghezza perché, si sa, oltre le 10 righe più nessuno ha la pazienza di leggere).
E, certamente, sarebbe un buon ripasso anche per chi giovane non è più.