Ping pong… ping pong… ping pong…
dal parco si scendevano quattro gradini e, sotto un terrazzo, la zona del ping pong.
Ero la più piccola e perdevo quasi sempre. Nessuno voleva stare in coppia con me nelle gare, tantomeno i miei fratelli. E allora trascorrevo ore a palleggiare sul tavolo da sola, per imparare a dominare la palla.
Ho sempre rimpianto che a mio nonno non fu concesso il tempo per giocare con me, la vita ci rubò il nostro tempo e me lo portò via tre giorni prima del mio debutto.
I quindici giorni di ferie estive era l’unico momento che mio padre mi dedicava completamente, non distratto e impegnato con i miei fratelli; fu il mio primo compagno di giochi d’agosto, prim’ancora di lasciare il posto agli amici.
E poi quante corse in bicicletta, il mio primo mezzo di locomozione verso la libertà. E ancora quante ore a volteggiare sull’altalena, spingendomi sempre più in alto, per raggiungere il cielo.
Ping pong… ping pong… ping pong…
i campi s’invertono… oggi mi ritrovo nel campo della nonna a palleggiare quella pallina che non si è fermata mai, prima che i miei nipoti mi sostituiscano con gli amici.
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