la memoria è un ponte verso la libertà

La cerbottana

Sanremo 1959 – ho 8 anni e abito vicino al mercato coperto, in una zona quasi perfiferica. Poco più in là si svuluppa una zona verde inabitata… quasi un miraggio in una città come quella: prati, piante, fossati e zone in cui correre e sfogare la nostra vivacità, nasconderci e organizzare agguati…

Non nascondo che mi crea una particolare nostalgia ripensare al tempo in cui spensieratezza e giocosità caratterizzavano le giornate della nostra pubertà e preadolescenza.
Parlo di questo da maschietto con caratteristiche ovviamente diverse da quelle delle mie coetanee.
Dopo gli impegni scolastici non si vedeva l’ora di poterci dedicare, soli o meglio se con i nostri amichetti, alle fantasie che avevamo magari immaginato la sera precedente, prima di addormentarci.
Ancora oggi il passare occasionalmente davanti alla vetrina di un negozio di giocattili genera in me gioia e curiosità… ma… non ci sono più i giocattoli della mia infanzia. I nostri nipoti, così come i nostri figli, sono figli del tempo in cui vivono, degli esempi molteplici che grazie alla tecnologia sono la loro normalità, del fatto che spesso nelle loro camerette non hanno che l’imbarazzo della scelta tra macchine telecomandate, giochi elettronici al computer, palystation.
Non ci sono più i cowboys, le giubbe blu con le loro diligenze che combattevano quelli che per noi erano gli indiani (che gioco forza mai erano identificati come poveri pellerossa), i tepee indiani e i loro cavalli cavalcati a pelo; non ci sono più gli archi e le frecce, i fortini; non ci sono più i soldatini della seconda guerra mondiale con camions, cannoni, carri armati; sono rari quei magnifici trenini elettrici, non ci sono più le fionde… non ci sono più quei giochi che ti permettevano di essere tu stesso il protagonista e in alcuni casi il costruttore e ideatore dei tuoi giochi.
L’unica eccezione sono forse i lego che apparvero negli ultimi anni ‘50 e che tutt’oggi hanno lo stesso meraviglioso scopo: stimolare l’estro infinito di ogni bambina e bambino.
Vorrei parlare di un gioco che ha stimolato proprio la creatività mia e quella dei miei amici coetanei, generando continuamente nuovi stimoli che non facevano che invogliarci a ricercare nuovi utilizzi del nostro gioco: la cerbottana.
Non ricordo chi di noi avesse proposto e individuato questo gioco ma sicuramente ci aveva entusiasmato perché ci immergeva nella guerriglia permettendoci di creare situazioni nuove costruendo noi stessi le nostre “armi”: le cerbottane, appunto.
Ricordo soltanto che uno di noi, all’inizio dei nostri incontri pomeridiani dopo la scuola, domandò agli altri: giochiamo alla guerra?
La prima cerbottana che utilizzammo richiamava lo strumento utilizzato per la caccia da alcune popolazioni del sud est asiatico e dagli indios del sud america!
Era sufficiente un semplice tubo di plastica dritto, lungo 40/50 cm. (di quelli utilizzati abitualmente dagli elettricisti) ! E le munizioni? Cartoccetti o cannucci, come li chiamavamo noi, costruiti con una striscia di carta e la nostra saliva.
I bersagli eravamo noi stessi, divisi in piu squadre.
Ovviamente chi veniva colpito usciva temporaneamente dal gioco e alla fine una sola squadra vinceva. E poi si ricominciava.
Ben presto ci rendemmo conto che la quantità di cannucci era insufficiente e che presto si deterioravamo! Aguzzammo l’ingegno e per aumentare sia la velocità di tiro sia la robustezza dei canucci raddoppiammo la cerbottana utilizzando delle semplici mollette da bucato in legno per congiungere le due cerbottane (in seguito addirittura le tripiclammo) e dopo aver costruito i cannucci ne immergemmo le punte nel vinavil e quindi le rendemmo molto più robuste (arrivammo in seguito ad inserire anche uno spillo che ci permise di utilizzare bersagli fissi su cui infilzare i cannucci e fare delle vere e proprie gare di tiro a segno).
Si ripresentò, però, un altro problema: dove riporre quella grande quantità di cannucci realizzati a casa nei tempi morti? Ed ecco la soluzione: bisognava costruire delle cartucciere. Ma come?
Semplicemente tagliando delle strisce di cartone, che all’epoca era ondulato per cui si potevano infilare nelle scanalature le punte dei cannucci e si otteneva un arsenale mobile per una grande quantità di proiettili.

Eravamo piccoli, otto anni senza soldi e tutto questo era praticamente a costo zero!
Il territorio ci permetteva di essere al riparo dai pericoli del traffico cittadino e così combattevamo la nostra guerra.
Giochiamo alla guerra? Allora non sapevo che cosa significasse esattamente guerra perché, da bambino, non concepivo la violenza posta in atto dagli adulti. Giocavo nell’innocenza della mia età, lontano dalla corruzione del male e dalle nefandezze commesse da alcuni uomini. Crescendo, ho capito che la guerra è orrore, morte, distruzione. E che esiste soltanto una guerra giusta, quella che si fa per gioco. Lì puoi sempre rivivere, anche quando muori. E se vinci, le tue vittorie sono la gioia di aver trascorso del tempo con gli amici, la complicità di aver ideato, insieme, delle soluzioni ai problemi che via via si presentavano. Mentre con la guerra vera tutto è perduto.

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